Pastorale della Carità Relazione del Card. Francesco Montenegro

Mi piace iniziare con le parole di Agostino: “Quale volto ha l’amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire. Tuttavia l’amore ha piedi che lo conducono alla Chiesa, ha mani che donano ai poveri, ha occhi con i quali si scopre chi è nella necessità, ha orec-chi riguardo ai quali il Signore dice: chi ha orecchi per intendere intenda”.
E anche: “Da tutte le pagine divine, non si sprigiona altro che la carità… Chi vuol parlare della carità, non ha bisogno di scegliere la pagina da leggere: ogni pagina ne risuona”.

* A Puebla è stato detto che la pastorale è “la risposta specifica, cosciente e meditata alle necessità dell’evangelizza-zione” (1307). Essa è il prolungamento di Gesù che dà la vita per noi: “Il Buon Pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11). Ecco perché non nasce da un’esigenza strategica, né è funzionale alla sua efficacia.
Nonostante sia indispensabile l’unità dei tre ambiti – an-nuncio, liturgia, carità –potrebbe sembrare una contraddizione parlare solo di pastorale della carità ma, secondo me, non lo è perché la Parola e i sacramenti tendono, di natura loro, alla carità. Il prodotto finale dell’annuncio e della liturgia, infatti, è la trasformazione della comunità cristiana in una comunità di fratelli capaci di dare se stessi agli altri, come Gesù.
Parlare di carità, poi, non è parlare di singole azioni caritative: tant’è vero che, avverte S. Paolo, si potrebbero “distribuire tutte le sostanze” senza avere carità. Follereau diceva: “L’ elemosina è l’osso gettato al cane”.
È grande il rischio di un falso in bilancio, cioè di sentirsi a posto sebbene tante manifestazioni di fede e tante preghiere non intacchino la vita dei credenti.
* La posizione degli operatori pastorali non è facile. La mi-seria dilaga, mentre i ricchi, in poche ore, consumano quanto un lavoratore guadagna mensilmente. Siamo soddisfatti di vedere chele nostre chiese in certe occasioni si riempiono, eppure, preoccupati, vediamo crescere il languire della pietà, della giustizia, dell’amore e della solidarietà. Noi parliamo d’amore ma ciò che conta è l’avere che prevale sull’essere, la persona vale per ciò che possiede, ai figli che chiedono amore si danno cose. Così, senza rendercene conto, si è arrivati al punto che opprimere diventa norma per chi detiene il potere, si uccide in nome di Dio, è possibile la schiavitù, il genocidio di popoli è ormai un sistema difensivo, due terzi della popolazione mondiale è affamata, si fanno campagne promozionali per aiutare i bambini poveri ma poi si va in quelle terre a fare turismo sessuale.
Davanti a tale realtà noi, quasi a difesa, affermiamo che nelle nostre comunità l’esercizio della carità è diffuso. È vero, tuttavia non possiamo non chiederci come mai, nono-stante tanta carità, questa non caratterizzi la vita ordinaria delle comunità. Queste si distinguono e sono cercate per tanti motivi ma non per la carità. Mentre nella prima chiesa i cristiani erano riconoscibili perché si volevano bene. Ciò avviene perché spesso la vita di fede e di carità scorrono parallele, se non addirittura divergenti. Da una parte c’è la vita liturgica che scandisce, qualche volta stancamente, i ritmi della parrocchia facendo, bene o male, da riferimento all’attività catechistica (prevalentemente destinata ai fanciulli), dall’altra c’è la vita di carità che si concretizza in iniziative che non sempre si alimentano alla vita di fede della comunità né riescono ad alimentarla. In questo modo la liturgia e la catechesi rischiano di girare a vuoto e la carità di inaridire.
Pensiamo alla collocazione della parabola del samaritano. Il racconto è come un prezioso quadro collocato in un’altrettanta preziosa cornice. Prima della parabola c’è la preghiera di lode e ringraziamento di Gesù al Padre perché ha manifestato le cose del Regno ai “piccoli” (Lc 10,21) seguita dalla proclamazione del comandamento: “Amerai ….” (10,27),dopo c’è il racconto della parabola seguito dall’episodio di Marta e di Maria (contemplattivi?!) e dal “Padre nostro” e l’invito a perseverare nella preghiera (11, 1-13).
È un invito a farsi prossimi al Padre e agli altri. Ma senza giocare alle parole incrociate: vale più il verticale o l’orizzontale? L’amore per l’uomo è strettamente unito all’amore per il Padre; il versare l’olio e il vino sulle ferite è la debita conclusione dell’ascolto della Parola e della recita del “Padre nostro”.
Gesù, inserendosi nella tradizione profetica, denuncia come senza senso l’onorare Dio senza le opere di giustizia: “Questo mio popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini“(Mc 7,1-13). Il culto senza la carità è blasfemo.
* Se si vuole che le nostre comunità vivano l’esperienza della carità, occorre ripensare a fondo al rapporto tra fede e carità. Se fede e carità restano separate, la comunità rischiala paralisi. Un corpo con una gamba più piccola dell’altra non cammina bene. La fede staccata dalla carità diventa dottrina astratta, preoccupata per di più di difendere la verità anche a scapito dell’attenzione alle persone (il Papa ci avverte continuamente a non cadere in un simile errore).
Per recuperare un giusto rapporto tra fede e carità non possiamo non rifarci all’evangelizzazione. La Chiesa evangelizza quando annuncia il regno di Dio ma nello stesso tempo lo edifica. Nel regno inaugurato da Gesù è centrale il comandamento Ama il Signore Dio tuo e ama il prossimo tuo” (Lc 10,27).
* Evangelizzare è raccontare a tutti l’amore di Dio. In Evangeli i Nuntiandi (21) è scritto: “L’evangelizzazione avviene mediante testimoni. La testimonianza è una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della buona novella”.
La Chiesa c’è per evangelizzare, ma c’è anche per amare. Anzi essa stessa è carità, come afferma S. Ignazio. Senza carità, perciò, non c’è chiesa.
L’evangelizzazione è il primo grande segno di carità e la carità è il cuore dell’evangelizzazione. È scritto in “La Chiesa in Italia dopo Loreto”: “La missione della Chiesa ha una sola origine, un solo contenuto, un unico fine: la proclamazione del Vangelo. E ha una sola anima: la Carità” (51).
La carità è la carta costituzionale della Chiesa.
Penso di non sbagliare se affermo (mi faccio forte delle parole e dei gesti di Papa Francesco) che il salto che la Chiesa è chiamata a fare non è tanto o solo l’aggiornamento catechetico, né il migliorare delle celebrazioni (linguaggio e segni), ma che la carità siala “via privilegiata per l’evangelizzazione” (ETC 9-10). La carità non è un’appendice graziosa per abbellire l’abito della Chiesa, ma è l’abito stesso.
* Questo significa che, per es., la catechesi deve senz’altro essere fedele alla parola di Dio ma deve anche agganciarsi alle vita di ogni giorno, considerandola come “parola vissuta”, voce, cioè, dello Spirito da ascoltare. L’Eucaristia è la carità di Cristo che ci plasma. Una domanda: non è diversa la preghiera fatta in Chiesa (spesso ovattata e stanca) da quella fatta lungo la strada, arricchita di volti, di sofferenza, di dolore e di gioia. L’Abbè Pierre a ragione diceva di lasciare rotto un vetro nelle chiese per permettere ai rumori esterni di entrarvi.
Anche la carità deve cercare il giusto rapporto con la fede. Chi lavora a servizio dei fratelli deve confrontare il suo sguardo e il suo cuore con la parola di Dio. La catechesi non annuncia il mistero di Dio amore, che ama gli uomini e vuole che si amino fra loro? L’Eucaristia e i sacramenti non sono i segni concreti dell’amore di Dio per gli uomini? La testimonianza (carità che si vede, si sente e si tocca) non è il risultato della Parola e dell’Eucaristia?
È stato detto che l’amore è l’unico luogo dove Dio è libero di essere Dio. In Evangelizzazione e testimonianza della carità è scritto che i pani della parola di Dio, della carità e dell’Eucaristia non sono tre pani diversi, ma l’unico Gesù che in vari modi si dona agli uomini. Per questo ogni scollegamento fra parola, sacramento e testimonianza rischia di deturpare il volto di Cristo.Non penso di sbagliare nell’affermare che il criterio per va-lutare l’autenticità della catechesi e della liturgia è la crescita della comunione e della carità in ciascuno e nella comunità.
“La Chiesa non si organizza, ma si genera, e solo l’amore genera” (Del Monte).La Chiesa c’è per servire. Una chiesa che non serve, non serve a niente. Nella parrocchia la Chiesa si mette alla ricerca dell’uomo per fargli dono dell’incarnazione. Il cristiano ha la residenza nel tempio e il domicilio nelle strade. L’amore per l’uomo è il credo della Chiesa. Essa se è“spettacolo di comunione e di servizio” (Bello) non può avere paura del nuovo. Mons. Bello diceva che non si possono più desiderare le cipolle d’Egitto e che “non possiamo continuare a impastare paglia e argilla sulle sponde del Nilo, nelle nostre minuscole aziende a conduzione privata: le parrocchie. Bisogna passare il Mar Rosso”.
* Qualcuno potrebbe chiedermi: ma chi sono effettivamente i poveri da amare?
Il povero, sacramento scomodo di Cristo, “è un fratello in difficoltà che mette in difficoltà perché costituisce un caso inedito, non programmato, che disturba l’ordinario modo di venire incontro al prossimo, che ci obbliga a scelte alle quali non eravamo preparati e mette a nudo la nostra poca, dimezzata disponibilità, che andava bene fino ad un certo punto ma che poi si scopre indagata” (Martini) .
È povero chi manca di un bene necessario alla vita (pane, vestito, casa, lavoro, etc.), chi manca di un bene necessario per la vita (salute fisica o psichica, igiene, dignità umana, etc.) e chi manca di un bene necessario della vita (affetto, amicizia, libertà, fiducia, gioia, pace, etc.)
Il dossier Oxfam (gennaio 2017) afferma che sono le multi-nazionali e i super ricchi ad alimentare la disuguaglianza eludendo il fisco, preoccupati solo dei propri profitti a scapito dei salari dei lavoratori e usando il loro potere per influenzare la politica. Secondo il direttore di Oxfam Italia “è osceno che così tanta ricchezza sia nelle mani di una manciata di uomini e che una persona su dieci sopravvive con meno di 2 dollari al giorno”. 8 miliardari possiedono le stesse risorse della metà della popolazione più povera del mondo.
Da 4 anni il Forum Economico Mondiale afferma che l’instabilità politica è causata dalla crescente disuguaglianza economica. Eppure il divario tra i ricchi e il resto dell’umanità va allargandosi. I poveri aumentano e i ricchi diventano più ricchi. Negli ultimi due anni 10 grandi multinazionali hanno realizzato profitti superiori alle casse di 180 Paesi. Tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno, mentre quello dell’ 1% più ricco di 11.800 dollari, vale a dire 182 volte tanto. Una statistica afferma che 1 americano mangia quanto 3 italiani e tre italiani mangiano quanto 1000 africani; perciò in questo mondo 1 mangia quanto 1000.
* “Ogni cent’anni Gesù di Nazareth incontra il Gesù dei cristiani tra le alture del Libano. E conversano a lungo; e ogni volta Gesù di Nazareth si congeda dicendo al Gesù dei cristiani ‘Amico mio, temo che non andremo mai, mai d ‘accordo!” (Kahlil Gibran).
“La sfida grande della Chiesa oggi è diventare Madre: Madre, non una Ong ben organizzata! Se la Chiesa non è Madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! Non è feconda. … La sua identità è fare figli! cioè evangelizzare… Per questo la Chiesa deve fare qualcosa, de-ve cambiare, deve convertirsi, per diventare Madre deve essere feconda” (Papa Francesco). Convertirsi significa cambiare vita, cambiare metodo, cambiare tante cose, ma anche cambiare l’anima.
La Chiesa deve scandalizzare con i segni della carità. È peccato, dice Mons. Romero, “lasciare gli uomini nella loro miseria”. E P. Turoldo afferma che “una religione che non si ferma davanti all’uomo è una religione inutile” (Turoldo).
Se chiediamo alla Chiesa: Chi sei? Essa risponde: sono mi-stero di comunione (LG). Cosa fai? Sono a servizio del mondo (GS). Dove vai? In missione nel mondo (AG).
La bontà della nostra pastorale sarà evidente se si dirà di noi quanto il Time ha scritto di Giovanni Paolo II: “Le sue idee sono diverse da quelle della maggior parte dei mortali. Sono più grandi”.
Sono significative le parole di Mazzolari: “Chi ha molto cuore vede molti poveri, chi ne ha poco ne vede pochi, chi non ne ha non vede poveri”.
* Chiudo con le parole di Papa Francesco: “Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le mise-rie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto […]. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo”.